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La scrittura in stampatello nella realizzazione di scritti anonimi

Scritti al tempo del confino.
Abbiamo seguito il suggerimento di Papa Francesco: "Non sprecate questi giorni difficili".

La scrittura in stampatello nella realizzazione di scritti anonimi

di Elsa Abrugiato - Segretario e Tesoriere A.G.A.F.


"L’anonimato nel mondo degli uomini, è meglio della fama in cielo."
(Jack Kerouac – Sulla Strada – 1957)

Il riferimento letterario ad una citazione contenuta in quella che probabilmente può considerarsi l’opera più famosa e conosciuta dello scrittore statunitense della “beat generation” Jack Kerouac, rappresenta una chiave per aprire la porta su una tematica da sempre attuale e complessa della grafologia: l’anonimografia.

Il grafologo professionista –sia come perito, sia in qualità di studioso della personalità- si trova spesso ad affrontare casi di lettere, manoscritture, biglietti, murales, gigantografie, etc. di cui il presunto autore non vuole rivelare la propria identità in quanto, nella maggior parte dei casi, essi vengono realizzati per scopi intimidatori e di minaccia.

Pertanto, numerosi sono stati e sono gli esperti della materia che, nel corso del loro operato, hanno avuto ed hanno modo di interfacciarsi con tale fenomeno e di conseguenza la relativa letteratura si presenta variegata e cospicua.

Potrebbe quindi rivelarsi interessante approcciare l’argomento non come l’ennesimo e ripetitivo studio sulla casistica e le modalità di realizzazione degli scritti anonimi, bensì attraverso l’esame di un caso pratico, che comporta un’analisi più squisitamente personale ed originale, senza tuttavia per questo avere nessuna pretesa di esaustività di una materia così vasta.

Partendo da questo presupposto, lo studio da me condotto ha riguardato una specificità dell’anonimografia che -senza dubbio- risulta essere quella maggiormente diffusa: la scrittura in stampatello. Occorre precisare che tale metodologia necessita di essere costantemente approfondita, poiché la progressiva perdita di dimestichezza con il corsivo (accentuata da un utilizzo sempre maggiore di pc, smartphone, tablet, etc.), sta portando inevitabilmente a prediligere una modalità più semplice, rapida ed intuitiva.

L’analisi (di cui non è possibile pubblicare la documentazione per ovvie motivazioni di privacy) è stata realizzata su nr. 3 lettere prive di riferimento dell’autore: sotto il profilo peritale, avere a disposizione più comparative - e quanto più possibile coeve - risulta essere fondamentale per il perito, dovendo procedere all’identificazione dell’artefice tra una serie di eventuali sospetti.

Le stesse sono state inviate al medesimo destinatario con una cadenza sostanzialmente regolare per poi cessare del tutto. Tale comportamento rende plausibile dedurre che, a distanza di circa 6 mesi dall’ultima missiva, la carica emotiva che aveva spinto l’ignoto a scrivere si sia del tutto esaurita o quanto meno affievolita. Non è infatti un’ipotesi rara che coloro che si servono di uno scritto anonimo, una volta dato sfogo ai propri sentimenti interiori, pongano rapidamente fine ai loro comportamenti, salvo ovviamente – nei casi più gravi – degenerare in vere e proprie patologie ascrivibili alle categorie di reati di stalking e atti persecutori.

Anche la scelta di un determinato tipo di buste (nel caso in questione colorate) può fornire delle utili indicazioni sulla personalità dell’autore che -pur volendo rimanere nell’ombra- avverte un impulso incontrollabile a rilasciare un proprio tratto distintivo e che si estrinseca nel desiderio di rendersi riconoscibile agli occhi della vittima, tanto da indurla a prendere immediatamente visione dei contenuti delle sue lettere, ingenerandole ansia e preoccupazione.

Già da queste preliminari osservazioni, è possibile rendersi conto di avere a che fare con un soggetto spiccatamente egocentrico, che rafforza tale convinzione apponendo la propria firma (del tutto incomprensibile) soltanto sulla prima missiva e dando quindi per scontato che il suo bersaglio lo identifichi già da quella successiva.

In linea generale, chi predilige questo stile avverte una profonda necessità di mascherarsi, dettata dalle più svariate motivazioni, quali la riservatezza, la chiusura, la protezione del sé, il desiderio di distacco dagli altri, le insicurezze: senza peraltro trascurare che lo stampatello complica notevolmente il riconoscimento di alcuni parametri fortemente individualizzanti. A titolo di esempio, è sufficiente pensare a quelli che in linguaggio tecnico sono comunemente chiamati ricci o gesti fuggitivi, ovvero quei tratti iniziali o finali di lettera che alle volte sono componenti della stessa (come i tagli delle “t”, gli accenti, i puntini sulle “i”), ma più spesso sono di contorno alla lettera o parola1 e sono propri della grafia di una persona, contraddistinguendone la sua natura.

È ovvio naturalmente che l’adozione di uno stile impersonale, faccia sì che tali elementi -laddove presenti- possano essere percepiti solo da un occhio attento ed esperto.

Il bisogno di rendersi quanto più anonimo possibile, attraverso la predilezione di un certo tipo di scrittura, è tuttavia indebolito dall’utilizzo di altri parametri che indubbiamente risultano essere altrettanto caratterizzanti, perché propri di uno stile personale di colui o colei che scrive: nel caso analizzato, l’impaginazione è resa più stabile dalla tracciatura delle righe su un foglio libero, la spaziatura tra le stesse si amplia mano a mano che si procede nel vergare la lettera, il calibro dapprima più misurato e contenuto, tende a crescere.

Tutto questo indica una forte esigenza di controllo, tendente a sfociare in una ricerca di perfezionismo, che il soggetto scrivente non riesce a mantenere costante e scoprendo di conseguenza le debolezze della sua personalità: emergono in questo modo dei dati che permettono di restringere il campo sulla ricerca del possibile autore. Tra questi il quantum pressorio – ovvero l’energia rilasciata dalla mano attraverso lo spessore dei tratti e la profondità del solco che la punta della penna scava nella carta2 - un elemento identificativo importante e che sembra andare di pari passo con la cronologia delle lettere: nella prima infatti si presenta nutrito, mentre successivamente manifesta una perdita di vigore, associata ad una grafia tendenzialmente curva e dritta, indice di una persona orgogliosa e con un elevato concetto di sé. Caratteristiche che tuttavia non sono sostenute da un’adeguata sicurezza di fondo e che pertanto viene ricercata nell’approvazione altrui.

Anche l’unica firma a disposizione evidenzia una pressione leggera e più rispondente a quella delle lettere successive, denotando i segni grafologici di oscura e contorta: si ipotizza pertanto una ipersensibilizzazione dei sistemi di vigilanza3, che ledono la sua calma interiore e la sua socialità, creandogli una sorta di autoisolamento in cui si trova sempre in una posizione di difesa.

Infine, pur non rientrando nei parametri strettamente grafologici, il linguaggio utilizzato nelle lettere anonime è un ulteriore indice rivelatore dell’autore, poichè permette di determinare il suo grado di istruzione, il contesto sociale al quale appartiene, la mentalità dello scrivente: senza trascurare il confronto di eventuali errori ortografici e lapsus di parole o frasi che rappresentano dei tic grafici”4 e, se ripetuti più volte, potrebbero non rappresentare una casualità bensì un elemento identificativo fondamentale.

Perché se è vero che la persona può volutamente alterare il lessico abituale al fine di depistare le proprie tracce, è altrettanto vero che a lungo andare e nella ripetitività degli scritti, non sempre si è in grado di ricordare le alterazioni costruite ad arte e inevitabilmente la porterebbero a smascherarsi.

È logico quindi concludere che, per quanto la scrittura in stampatello voglia essere “anonima”, il suo reale margine di alterabilità è piuttosto limitato rispetto alla ben più indistinguibile scrittura informatica, con la quale è davvero possibile rendersi “invisibili”. E questo non soltanto dal punto di vista più strettamente tecnico-peritale, ma ahimè soprattutto attraverso un impoverimento nel modo di esprimersi, specchio di pensieri e personalità.

L’avvento della digitalizzazione se da un lato ha permesso di migliorare notevolmente le nostre vite lavorative, consentendoci di raggiungere rapidamente molti obiettivi, dall’altro ha inciso – e non sempre positivamente – sui nostri aspetti sociali e bisogni più intimi.

Le variazioni della scrittura che si sono verificate negli ultimi decenni, sono strettamente legate al fatto che essa è stata collettivamente modificata dopo l’avvento di computer, tablet, smartphone, etc., che hanno enormemente influito sul nostro modo di comunicare, sia in termini di scrittura, che di stile linguistico5.

Vengono quindi considerati un’appendice della nostra esistenza, ma rappresentano la logica dell’omologazione e della massificazione in cui la maggior parte di noi, soprattutto tra i ragazzi più giovani, preferisce adottare uno strumento di comunicazione che risulti essere uguale per tutti -anche in ciò che rimane della scrittura manuale – ovvero lo stampatello, molto più diffuso rispetto al passato, così come tante nuove parole e abbreviazioni frutto di e-mail ed sms.

Si tratta di importanti modificazioni che i periti devono tenere presenti, poiché i cambiamenti nella scrittura richiedono nuovi approcci nell’esaminare la manoscrittura6 e in cui purtroppo valori quali l’originalità, la diversificazione, la costruzione e la musicalità di pensieri -che solo il corsivo permette di disvelare, sviluppando stili estremamente variegati e personali – vengono considerati come qualcosa di cui vergognarsi, perché non rispondenti al concetto di uguaglianza e standardizzazione.

E allora ben venga la scrittura al computer, anonima ed uniforme come i nostri io e in cui vediamo realizzarsi quella “nemesi” che da sempre accompagna le conquiste della tecnica: ciò che doveva essere di aiuto per l’umanità, ha finito per uccidere quel poco di umanità che ancora sopravviveva grazie all’uso della scrittura manuale7.

Scritto al tempo del confino, Pescara 21.04.2020


Riferimenti bibliografici:
- Jack Kerouac – Sulla Strada – 1957;
- Lamberto Torbidoni – Livio Zanin. Grafologia testo teorico-pratico – Editrice La Scuola
- Nazareno Palaferri – L’indagine grafologica e il metodo morettiano – Edizioni Messaggero – Padova
- Nazareno Palaferri – Dizionario Grafologico Morettiano – Libreria Moretti Urbino 2010
- Silvia Dolce – Lettere anonime: risvolti grafologici-peritali, psicologici e criminologici – Articolo tratto da internet
- Heidi H. Harralson – Identificazione della scrittura e della firma nell’era digitale – Libreria Moretti, Urbino 2016
- La morte della scrittura – Articolo tratto da internet di Stefano Di Ludovico 21.09.2009 – Arianna Editrice


1 - Lamberto Torbidoni – Livio Zanin. Grafologia testo teorico-pratico, pag. 279 – Editrice La Scuola
2 - Nazareno Palaferri – L’indagine grafologica e il metodo morettiano, pag. 63 – Edizioni Messaggero - Padova
3 - Nazareno Palaferri – Dizionario Grafologico Morettiano, pag. 100 – Libreria Moretti Urbino 2010
4 - Silvia Dolce – Lettere anonime: risvolti grafologici-peritali, psicologici e criminologici – Articolo tratto da internet
5 - Heidi H. Harralson – Identificazione della scrittura e della firma nell’era digitale, pag. 21 – Libreria Moretti, Urbino 2016
6 - Heidi H. Harralson – Identificazione della scrittura e della firma nell’era digitale, pag. 22 – Libreria Moretti, Urbino 2016
7 - La morte della scrittura – Articolo tratto da internet di Stefano Di Ludovico 21.09.2009 – Arianna Editrice

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