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La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: confronto tra grafologia, storia e letteratura.

L'intervento esamina le figure di tre uomini: Maurice Barrès, Tom Antongini e GianCarlo Maroni, con particolare attenzione ai rapporti intrattenuti con d’Annunzio e al loro contributo offerto nell’affermazione della sua personalità e nell’edificazione del mito, strumenti utilizzati dall’Artefice geniale al fine di realizzare la sua vita come un'opera d’arte.

Libro AGAF - Atti Convegno

La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: confronto tra grafologia, storia e letteratura

di Maurizio Biondi - Presidente A.G.A.F.


“Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte.
Bisogna che la vita di un uomo d’intelletto sia opera di lui.
La superiorità vera è tutta qui”
(D’Annunzio, Il Piacere, p. 37)


Quando si decida di affrontare la personalità di Gabriele d’Annunzio non è possibile prescindere da questa massima fondamentale, contenuta nelle prime pagine del romanzo Il Piacere – scritto nel 1889 – programma e ambizione di vita del Poeta venticinquenne. Partendo da questo assunto, è possibile esaminare le figure di tre uomini: Maurice Barrès, Tom Antongini e GianCarlo Maroni, in relazione alla tipologia dei rapporti intrattenuti con d’Annunzio e al contributo offerto nell’affermazione della sua personalità e nell’edificazione del mito.

L’ideale artistico dannunziano si è concretizzato grazie all’apporto imprescindibile offerto alla sua ispirazione dalla moltitudine di presenze femminili che ne hanno costellato l’esistenza.

Ma D’Annunzio ha preteso di più che essere artista, ha voluto essere egli stesso arte. Un tentativo che non può prescindere da alcune condizioni di partenza, considerate attraverso il punto di vista grafologico, letterario e storico: la materia, un modello, gli strumenti.

La materia, sulla quale il Poeta si è applicato, è desumibile grazie all’impiego della scienza grafologica, attraverso il metodo di indagine della personalità messo a punto nella prima metà del Ventesimo secolo da Girolamo Moretti, padre della grafologia italiana1.

Esaminando la grafia di Gabriele d’Annunzio e i segni grafologici emergenti, è possibile individuare i doni elargiti da madre natura a questo figlio devoto.

Per farlo, viene utilizzata una lettera indirizzata al maresciallo dei carabinieri Emanuele Barile (Figg. 1-3), uomo di fiducia del Poeta, in servizio presso il Vittoriale degli Italiani2.

L’esame preliminare dello scritto evidenzia la precisione dell’impaginazione, il calcolo preventivo dell’impostazione degli spazi operato dallo scrittore sul foglio di carta, allo stesso modo di un pittore dinanzi alla tela bianca. Calcolo evidente nella missiva presa in considerazione, dove le tre righe finali appaiono come frutto di un ripensamento.

Altra considerazione riguarda la spontaneità della scrittura che, pur risultando accurata, non presenta alcun aspetto di artificiosità.

Vale per il gesto grafico del poeta l’assioma utile per misurare qualsiasi forma d’arte, letteraria o figurativa: ci può essere verità senza bellezza, ma non bellezza senza verità.

Fig. 1. Lettera di Gabriele d’Annunzio a Emanuele Barile, maresciallo dei carabinieri in servizio presso il Vittoriale degli Italiani.
Fig. 1. Lettera di Gabriele d’Annunzio a Emanuele Barile, maresciallo dei carabinieri in servizio presso il Vittoriale degli Italiani.
Fig.2. Lettera di Gabriele d’Annunzio a Emanuele Barile, maresciallo dei carabinieri in servizio presso il Vittoriale degli Italiani.
Fig.2. Lettera di Gabriele d’Annunzio a Emanuele Barile, maresciallo dei carabinieri in servizio presso il Vittoriale degli Italiani.
Fig.3. Lettera di Gabriele d’Annunzio a Emanuele Barile, maresciallo dei carabinieri in servizio presso il Vittoriale degli Italiani.
Fig.3. Lettera di Gabriele d’Annunzio a Emanuele Barile, maresciallo dei carabinieri in servizio presso il Vittoriale degli Italiani.

La dimensione gestuale della grafia, dovuta al movimento della mano espressivo della fisiologia e della psiche dello scrivente, ci fornisce il necessario campo di indagine3, che in questo caso si concentra su un gruppo specifico di segni, la cui combinazione consente di risalire direttamente alle fonti della personalità artistica di Gabriele d’Annunzio e contribuisce a comporre un contesto grafico assolutamente coerente e omogeneo4.

Osserviamo innanzitutto una chiara visione della realtà interiore ed esteriore che comprende una evidente capacità di analisi introspettiva: il segno chiara si combina con il largo tra parole, molto spesso presente nelle grafie degli uomini predisposti dall’arte a prendersi lo spazio ed il tempo necessari per una ricerca spirituale, fonte del loro potere creativo.

Quindi una sensibilità particolarmente vocata a captare l’armonia delle forme della natura: il segno elegante si sposa con il diseguale metodico del calibro creando un connubio di raffinata genialità.

Il tutto è sostenuto da un’intensa energia vitale, da uno slancio audace (ardita) caratterizzato da un forte senso del ritmo: la pressione nutrita del segno si canalizza, senza che intervengano pause o interruzioni (fluida), in uno scattante carico di musicalità. Non risulta difficile riconoscere in queste caratteristiche grafologiche il canone estetico di Gabriele d’Annunzio: il poeta panico e sensuale, inesauribile cantore dell’eros, inteso nella sua accezione semantica di amore ed eroismo.

La grafologia consente quindi di risalire alla natura artistica del Poeta, offrendo una chiave interpretativa utile al confronto tra due critiche letterarie esemplari della disparità di giudizio da sempre esistente sull’opera del poeta pescarese: l’uno rinvenuto nel Dizionario Storico della Letteratura Italiana, edito nel 1959 da Paravia, aderente al profilo grafologico ora descritto: «Egli riflette nella creazione d’arte tutto sé stesso, e fonda in essa la propria concezione della vita in modo da farne un tutto inscindibile ed organicamente completo.

L’inesausto suo desiderio di vivere e di comprendere lo porta ad una sensibilità e sensualità acutissime, a un raffinato edonismo, capace di svelargli i più minuti segreti della realtà sia materiale che spirituale; onde il suo io è quasi un arco sonoro che riceve ogni vibrazione e la rende in melodia, con una tensione quasi sovrumana, o uno specchio che riflette tra nimbi di iridescenze ogni aspetto del mondo esteriore»5.

L’altro contenuto nella Guida al Novecento di Salvatore Guglielmino che, al contrario, ne diverge: «D’Annunzio è un poeta che nella grandissima maggioranza dei casi si esaurisce tutto nel gioco della squisitezza impressionistica che si traduce in scaltrita letteratura: con una disponibilità eccessiva per essere autentica egli accoglie ogni sollecitazione sensoriale, ma proprio in questo è il suo limite: la sua parola è povera di interiorità, non ha nel lettore quelle risonanze proprie della vera parola poetica, la sua consumata perizia lascia – tranne qualche raro momento – il sospetto che tutto per lui si risolva in una perenne sperimentazione sensoriale e letteraria»6.

La pretesa di fare della sua stessa vita un’opera d’arte si estrinseca, dal punto di vista grafologico, nell’esaltazione dell’origine pittografica della scrittura, trattata da d’Annunzio alla stregua di un’arte figurativa, così come compiutamente descritto nelle prime pagine del Notturno, opera scritta in una condizione di completa cecità che definisce l’arte della grafia in Gabriele d’Annunzio: «La penna era come il pennello, come lo scarpello, come l’arco del sonatore. Temperarla era un piacere glorioso»7.

La costruzione della celebre firma (Fig. 4), tratta da una lettera indirizzata ai militi che prestavano servizio al Vittoriale, in occasione dell’anniversario della creazione del Corpo dei Carabinieri Reali, che nel calibro molto grande delle lettere esprime l’enorme insopprimibile ego del Poeta, rappresenta la sintesi delle caratteristiche grafologiche della scrittura dannunziana.

Chiara, elegante, fluida, scattante, esprime la vena dinamica, vitale, sofisticata di una personalità che sottrae alla volontà di potenza l’ingombro della solennità. Non un monumento ma una presentazione, non un memento ma una presenza, viva e attuale. Eccomi, sono Gabriele d’Annunzio: artista e opera d’arte8. […]

Fig. 4.
Fig. 4.

Sunto estrapolato dalle pubblicazioni “La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: Antongini, Barrès e Maroni fra storia, letteratura e grafologia”.

ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI – IV EDIZIONE DELLA “FESTA DELLA RIVOLUZIONE” PESCARA, SETTEMBRE 2022. Ianieri Editore.


Riferimenti:

  • 1 - G. Moretti, Trattato di Grafologia, Intelligenza – Sentimento, Padova, Edizioni Messaggero, 1980.
  • 2 - F. Di Tizio, La Santa Fabbrica del Vittoriale nel carteggio inedito d’Annunzio – Maroni, Pescara, Ianieri Editore, 2009, p. 89.
  • 3 - A. Vels, Affrontare la pagina bianca, «Scrittura Rivista di problemi grafologici», n. 163, 2013, pp. 41-58.
  • 4 - N. Palaferri, Dizionario Grafologico Morettiano, Urbino, Libreria “G. Moretti”, 2010.
  • 5 - U. Renda– P. Operti, Dizionario storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 1959, p. 357.
  • 6 - S. Guglielmino, Guida al Novecento, Milano, Principato Editore, 1971, p. 57.
  • 7 - G. d’Annunzio, Notturno, Roma, Fondazione «Il Vittoriale degli Italiani», 1941, p. 4.
  • 8 - M. Biondi, La fine di Gabriele d’Annunzio. Considerazioni sull’ipotesi, storica e grafologica, del suicidio, «Scrittura Rivista di problemi grafologici», n. 179, 2018, pp. 149-159.

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