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L'eros come principio dell'arte

In una frase, contenuta nel romanzo Il Fuoco (1900), sublimazione letteraria del rapporto sentimentale tra Gabriele d’Annunzio e Eleonora Duse, ecco condensato il principio dell’arte di un poeta destinato all’eterno innamoramento, il suo inizio e la sua sostanza: l’eros, inteso nella concezione platonica di amore ed eroismo, fonte inesauribile di ispirazione.

L'EROS COME PRINCIPIO DELL'ARTE
Amore e eroismo nella vita, nell’arte e nella grafia di Gabriele d’Annunzio. Approfondimento grafologico sulle sorelle Baccara, Luisa e Jolanda.

di Maurizio Biondi - Presidente A.G.A.F.


Era necessario che io fossi libero e felice nella verità
del tuo amore intero per creare l’opera bella da tanti attesa.
D’Annunzio, Il Fuoco


In una frase, contenuta nel romanzo Il Fuoco (1900), sublimazione letteraria del rapporto sentimentale tra Gabriele d’Annunzio e Eleonora Duse, ecco condensato il principio dell’arte di un poeta destinato all’eterno innamoramento, il suo inizio e la sua sostanza: l’eros, inteso nella concezione platonica di amore ed eroismo, fonte inesauribile di ispirazione.

L’amore

L’amore del quale si è nutrita l’arte di Gabriele d’Annunzio è costellato di volti e destini femminili. Amori passionali, intellettuali, estetizzati. Consumati tra lenzuola multicolori; idealizzati nei mille e mille e mille e mille fogli di lettere vergati ora con lapis dalla punta morbida, talvolta con mano frettolosa e nervosa, ora con l’inchiostro nero, con grafia elegante e aggraziata1; fissati nelle pagine delle sue innumerevoli opere.

La ricerca di un topos letterario che tracci i caratteri della donna dannunziana richiede uno studio peculiare. Quel che certo emerge dall’opera dell’artista abruzzese è la potenza della figura femminile. Una per tutte: Mila di Codra, la Figlia di Jorio, dall’omonima tragedia. Figlia di negromante, in quanto tale strega e quindi elemento antagonista dell’ordine patriarcale costituito. Più che vittima sacrificale, vindice terribile: «bene opravo con l’arte mia falsa», e orgogliosamente consapevole: «La fiamma è bella! La fiamma è bella!»2, nei confronti della millenaria oppressione maschile. L’indole di d’Annunzio è predisposta all’amore, quale strumento di affermazione dell’Io. Scrive il biografo Guglielmo Gatti che: «L’amore era uno degli elementi essenziali della sua natura»3.

Dal punto di vista grafologico, recepito come studio della personalità attraverso il metodo elaborato in Italia da padre Girolamo Moretti4, si può affermare che, per il poeta, l’amore costituisca la passione predominante, intesa come «la radice dell’istinto vitale, sessuale e psichico nel loro risultato unificato»5. La conferma giunge esaminando una lettera autografa di due pagine, datata 29. XII. 1930, indirizzata a Dante Bravo, fotografo e commerciante d’arte al quale d’Annunzio affidò, nel 1930, l’incarico di immortalare la “Santa Fabbrica” del Vittoriale6. Il testo recita: «Mio caro Danthe, sono stato fastidiosamente malato, per alcune settimane, d’un de’ soliti mali ottusi d’autunno. Ora sto bene o quasi. Voglio dirti quanto io ammiri la tua “arte della luce”. Le tue fotografie del Vittoriale sono le sole che a me piacciano. Ti faccio versare oggi da Luisa Musica [scil. Luisa Baccara] cinquemila lire, chiedendoti con umiltà quanto io ancor ti debba. Tu sai che gli auguri sono vani (delle migliaia, che oggi vengono a me, non uno è valido e forse non uno è sincero). Ti assicuro per l’anno nuovo la mia amicizia. Gabriele d’Annunzio 29.XII.1930».

Un primo accostamento di segni grafologici ci consegna la cornice entro la quale opera un’arte amatoria che si distingue per libertà interiore e di azione. La grafia aperta – caratterizzata dalla luce presente negli occhielli delle lettere – si combina con il diseguale metodico attraverso il quale si manifesta l’armonica alternanza del calibro, in un divenire fluido della scrittura7. La consapevolezza del proprio valore intellettuale permette all’artista di indulgere nel rapporto amoroso, verso il quale si dispone con sincera apertura sentimentale, mantenendo comunque un’indipendenza affettiva. Di seguito, le aperture a capo, presenti in alcuni dei vertici delle vocali tracciate con grafia elegante, accompagnate dal diseguale metodico del calibro e dalla presenza di sinuosa, segnalano la tendenza verso una pulsione sessuale coltivata con innata sensibilità, fine tenerezza, gentile protagonismo. Qualità naturali che, coniugate con la cultura dell’umanista e il fascino del letterato, giustificano la sintonia con l’universo femminile e il successo con le donne. Una capacità di seduzione che, peraltro, d’Annunzio mostra nei confronti di chiunque lo circondi, senza distinzione di genere, condizione, censo. Il poeta esercita un controllo sull’istinto diretto non verso l’idealizzazione dell’atto sessuale, ma finalizzato alla coincidenza con l’atto creativo. La scrittura chiara, fluida, spontaneamente accurata, la presenza di un apprezzabile largo tra lettere, garantiscono sullo spazio e l’attenzione che egli dedica alla partner del momento, sulla coerenza e genuinità di un sentimento destinato a estinguersi per rinnovarsi all’infinito.

Nell’innamoramento, nello stato di grazia che produce, il poeta cerca e trova linfa per la sua ispirazione. Una ricerca interiore della bellezza attraverso la verità, testimoniata dal largo tra parole8, volta alla “rivelazione” di sé. Una donazione temporanea, finalizzata allo scopo ultimo dell’affermazione della sua personalità artistica, eppure autentica. La fedeltà di un uomo come Gabriele d’Annunzio non si misura sulla stabilità dei rapporti amorosi, ma nella eco eterna che essi producono nella sua arte. Come ebbe a scrivere: «Io sono infedele per amore, anzi per arte d’amore quando amo a morte»9.

La grafologia fa dunque giustizia dei giudizi sommari espressi nei confronti di una personalità ridotta, da parte della critica più acrimoniosa, molto spesso viziata da un rapporto di amore – odio nei confronti del poeta pescarese, a mera carnalità. Un esempio per tutti l’apprezzamento sarcastico, privato, quindi sincero, espresso dallo scrittore Carlo Emilio Gadda, che aborriva i caroselli erotici dell’insopportabile “amadore”, in una lettera del 14 gennaio 1949 indirizzata a Gianfranco Contini: «(…) psicologicamente, un narciso di terza classe che porta a spasso pel mondo il pistolino della sua personcina (…)»10. Del resto la società borghese dell’epoca, sessualmente repressa dal comandamento cattolico, che leggeva morbosa Il Piacere come un romanzo di lussuria compiaciuta, trovava conferma alla sua pruderie nella sfrontata inaudita affermazione contenuta nel Fuoco: «(…) il piacere è il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla Natura e che colui il quale ha molto sofferto è men sapiente di colui il quale ha molto gioito»11. In realtà, ci troviamo a condividere il giudizio espresso da Guido De Matthaeis, per il quale non v’è traccia di eccesso, di alterazione abnorme dei segni grafologici che indichi lussuria, lascivia, tendenza alla perversione sessuale nella grafia di Gabriele d’Annunzio12. Emerge, altresì, prepotente, alimentato da un’intensa energia vitale, segnalata dalla pressione nutrita del segno e dalla presenza del segno scattante, un raffinato erotismo – inteso come elaborazione culturale del sesso – strumento creatore nelle abili mani del poeta panico e sensuale, inesausto cantore dell’eros13.

Tre donne, tre storie, tre personalità, ci aiutano a comprendere le dinamiche sentimentali che si intrecciano con la produzione artistica dannunziana, spicchi di un mosaico composto da centinaia di tessere diverse. Elvira Fraternali Leoni, Eleonora Duse, Luisa Baccara, ci accompagnano nel percorso di una esistenza dedicata all’arte di vivere l’arte, come gli epistolari intercorsi con le donne della sua vita testimoniano, in una intercambiabilità tra vita e letteratura evidente, ad esempio, nel confronto tra il contenuto delle lettere inviate alla Leoni e alcune pagine del Piacere, delle Elegie Romane e del Trionfo della morte14. Un cammino che compiremo a ritroso, partendo da Luisa, ribattezzata “Smikrà”, ultima compagna del Comandante, protagonista, insieme a sua sorella Jolanda, di questo capitolo, per poi incontrare Eleonora, “Ghisola”, “la mia non beata Beatrice”, ed Elvira, “Barbara”, il grande amore, grazie ai contributi dell’attrice e scrittrice Daniela Musini, della professoressa Alessandra Scorcia e della dottoressa Elsa Abrugiato.

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Riferimenti:

  • 1 - Vivian, Gabriele d’Annunzio, “La rosa della mia guerra”. Lettere a Venturina, Venezia, Marsilio Editori, 2005, p. 93.
  • 2 - G. d’Annunzio, La figlia di Iorio , Roma, L’Oleandro, 1936, p. 150-156.
  • 3 - E. Gatti, Le donne nella vita e nell’arte di Gabriele d’Annunzio , Parma, Guanda, 1951, p. 15.
  • 4 - G. Moretti, Trattato di grafologia. Intelligenza – Sentimento, Padova, Edizioni Messaggero, 1980.
  • 5 - G. Moretti, La passione predominante. Grafologia differenziale, Ancona, Studio grafologico “Fra Girolamo” S. Francesco, 1962, p. 30.
  • 6 - V. Terraroli, Il Vittoriale. Percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele d’Annunzio, Milano, Skira editore, 2001, p. 231.
  • 7 - N. Palaferri, Dizionario grafologico morettiano, Urbino, Libreria “G. Moretti”, 2010, p. 60.
  • 8 - M. Biondi, La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: confronto tra grafologia, storia e letteratura, in “La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: Antongini, Barrès e Maroni fra storia, letteratura e grafologia, Pescara, Ianieri Edizioni, 2022, p. 19.
  • 9 - E. Gatti, Le donne nella vita e nell’arte di Gabriele d’Annunzio, Parma, Guanda, 1951, p. 16.
  • 10 - G. D’Angelo, Flaiano e D’Annunzio. L’Antitaliano e l’Arcitaliano, Chieti, Edizioni Solfanelli, 2016, pp. 46-47.
  • 11 - G. d’Annunzio, Romanzi e novelle, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1953, p. 621.
  • 12 - G. De Matthaeis, Gabriele D’Annunzio Personalità e arte, “Scrittura – Rivista di problemi grafologici”, n. 163, 2013, p. 91.
  • 13 - M. Biondi, La vita come opera d’arte. Gli uomini di d’Annunzio: confronto tra grafologia, storia e letteratura, op. cit., p. 19.
  • 14 - I. Ciani, Femmine e Muse Dannunziane, Milano, Augusto Ferrara Editore, 1992, p. 10.

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