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GianCarlo Maroni e l’edificazione del Vittoriale: l’ultimo d’Annunzio e la conservazione della memoria personale e collettiva

"Ambedue non avevano alcun ritegno alle mutue prodigalità della carne e dello spirito.
Provavano una gioia indicibile a lacerare tutti i veli, a palesare tutti i segreti, a violare tutti i misteri, a possedersi fin nel profondo, a penetrarsi, a mescolarsi, a comporre un essere solo"

L’eros allo specchio.
Le personalità complementari di Barbara Leoni e Gabriele d’Annunzio analizzate attraverso il metodo grafologico morettiano.

di Elsa Abrugiato - Segretario e Tesoriere A.G.A.F.


“Ambedue non avevano alcun ritegno alle mutue prodigalità della carne e dello spirito. Provavano una gioia indicibile a lacerare tutti i veli, a palesare tutti i segreti, a violare tutti i misteri, a possedersi fin nel profondo, a penetrarsi, a mescolarsi, a comporre un essere solo.”
(d’Annunzio, Il Piacere, Sesta Edizione, Fratelli Treves Editori – Milano- pag. 106)

La scelta di questa frase, estratta dal primo romanzo dei volumi appartenenti alla trilogia “Il Ciclo della Rosa” – comprendente L’Innocente e il Trionfo della morte – rivela nella sua spregiudicatezza espressiva la fondamentale importanza che i concetti dell’eros e la ricerca del piacere, rivestono nella produzione letteraria dell’artista pescarese: il primo inteso come rappresentazione del sentimento dell’amore che si alimenta continuamente, il secondo associato alla pulsione, alla brama, alla sessualità. Una unione di differenti elementi che si estrinsecano attraverso quel “vivere inimitabile” che fin dai primissimi anni di gioventù, aveva caratterizzato tutta la sua esistenza.

Massima espressione di quella corrente di pensiero definita Decadentismo1 e alla quale la figura di d’Annunzio è associata, Il Piacere fu scritto nel 1888 e pubblicato dall’Editore Treves nel 1889, ovvero verso la fine del cd. periodo romano vissuto dal Poeta, quasi a voler sugellare - attraverso le pagine del libro – la mondanità, la sensualità e la dissolutezza di quegli anni. Non a caso, anche il linguaggio utilizzato punta ad una liricità del testo, impreziosendolo di forme arcaiche e figure poetiche quali l’anafora, la metafora, l’allitterazione, volte a conferirgli musicalità.

In questo clima, contrastante con la morale borghese, ma che di fatto non riusciva ancora ad approcciarsi ad una effervescenza intellettuale tipica delle altre capitali europee, d’Annunzio iniziò a forgiare il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo, nonché il nucleo centrale della sua poetica. Giunto nella Capitale e iscrittosi alla Facoltà di Lettere, ben presto si allontanò dalle noiose aule dell’Ateneo per lasciarsi coinvolgere dalle ben più stimolanti atmosfere dei salotti romani, divenendone testimone attraverso i suoi articoli giornalistici, in particolar modo scrivendo per le riviste “Cronaca Bizantina” e la “Tribuna”, dove si firmava con lo pseudonimo “Duca Minimo”. Introdotto dall’amico e giornalista abruzzese Edoardo Scarfoglio, d’Annunzio iniziò a muoversi all’interno di un contesto diviso tra produzione letteraria – colta e raffinata e rivolta agli intellettuali dell’epoca – e cronaca, destinata invece ad un pubblico più variegato: difatti “Cronaca Bizantina” diventò progressivamente cenacolo della nuova letteratura italiana e di un nuovo giornalismo, all’interno del quale si susseguivano i personaggi più in vista d’Italia. Spinto dal suo innato gusto per l’esibizione della bellezza e del lusso, fu naturale per lui immergersi nella vita culturale romana, che si sviluppava in ambienti sfarzosi e in cui si sentiva a proprio agio: partecipava a feste, ritrovi letterari, frequentava concerti, spingendo la sua curiosità ad interessarsi a tutte le forme d’arte, alle quali dedicava energia e passione, dando luogo alla nascita di un vero e proprio “pubblico dannunziano”, attratto – più che dalle sue opere – dalla sua vita pubblica e privata. Aveva creato uno stile di vita appariscente e divistico, attraverso il quale nutriva il bisogno di “vivere un’altra vita”, attirando verso di sé le classi borghesi e quelle meno abbienti, sedotte dalla sua capacità narratoria in grado di raccontare storie come fossero sogni.

Il primo incontro tra Gabriele e Barbara avvenne nella primavera del 1887, tra le vie del centro di Roma, quando d’Annunzio venne letteralmente catturato dalla bellezza misteriosa di questa creatura, ferma davanti le vetrine di una libreria. All’epoca di quella fortuita circostanza, nessuno dei due poteva immaginare quanta importanza avrebbero rivestito l’uno nella vita dell’altra. Lui, trasferitosi nella esuberante capitale da una terra aspra e faticosa, era già qualcosa di più di una semplice promessa letteraria, ma ancora alla ricerca di sé stesso e bisognoso di quella ispirazione che soltanto una Donna “eletta” poteva trasmettergli. Lei, appartenente ad una buona famiglia della borghesia romana, delusa da un matrimonio di breve durata dovuto alle enormi divergenze con il coniuge, avvertiva profondamente la necessità di lasciarsi andare a qualcosa che fosse estremamente appagante. Fu proprio questa la premessa che permise ai due amanti di “riconoscersi” tra i tanti e di lasciarsi coinvolgere in un amore travolgente, come peraltro testimoniato dall’intensissimo carteggio (più di 1000 tra lettere, biglietti, telegrammi) intercorso in cinque anni di relazione e che costituiranno la genesi di molta della produzione artistica del Vate2.

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Riferimenti:

  • 1 - ll decadentismo è stato un movimento artistico e letterario sviluppatosi in Francia e poi diffusosi nel resto d'Europa, tra la fine dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, che si contrappone alla razionalità del positivismo scientifico e del naturalismo. Il termine "decadentismo" deriva dall'aggettivo francese décadent, usato dal poeta francese Paul Verlaine nella lirica Langueur, pubblicata sulla rivista francese Le Chat Noir, per definire il proprio stato d'animo nei confronti della società contemporanea. Il termine ha due significati espliciti: quello negativo, usato dalla critica in senso dispregiativo, riferito alla nuova generazione dei poeti maledetti che davano scandalo incitando al rifiuto della morale borghese, ponendosi al di fuori della norma sia nella produzione artistica sia nella pratica di vita (un esempio di disprezzo verso il Decadentismo lo troviamo nel pensiero crociano, il quale, accomunando D'Annunzio, Pascoli e Fogazzaro, li definisce "tre malati di nervi"); e quello positivo, rivendicato in seguito dai poeti stessi, inteso come nuovo modo di pensare, come diversità ed estraneità rispetto alla società borghese.
  • 2 - G. d’Annunzio, Lettere d’amore a Barbara Leoni, Firenze, Sansoni, 1954.

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